Lovelorn segna il gradito ritorno sulla scena di Liv Kristine, la madrina Gothic per eccellenza : dopo aver abbandonato gli ormai semiderelitti Theatre Of Tragedy alle loro masturbazioni elettroniche, dopo aver sposato Alexander Krull, la bionda fata norvegese fa cinquina, 'sposando' anche il resto della band del suo maritino (gli Atrocity) e mettendo così in piedi i Leave's Eyes.
La cantante, come si può facilmente intuire, è il fulcro di tutta l'opera: di fronte alla sua voce (buoni anche i tentativi di variare un po’ il timbro, come nella semi-lirica ‘Ocean’s Way’) il resto della band ammutolisce, svolgendo il semplice compito di comparsa, di strumentisti al servizio della prima donna, tanto che gli sporadici (fortunatamente...) inserimenti in growl di Alexander Krull risultano addirittura fastidiosi all'ascolto, facendo quasi pensare ad interferenze nell’etere di chissà quali altri cd.
Lovelorn non ha la devastante forza innovatrice di un Velvet Darkness They Fear nè la freschezza di Aegis, le canzoni sono soffuse, a tratti forse un po’ piatte e prive di grande emotività, ma sempre cariche di una dolcezza disarmante, di una luce fioca e avvolgente che pare spuntare da un fiordo della terra natìa di Liv.
L’album, se vogliamo essere pignoli, non risponde pienamente ai canoni del Gothic Metal e anzi, l’aggettivo ‘Metal’ è un pochetto fuorviante:se da un lato si cerca sì di strizzare l'occhio agli amanti del genere e ai Theatre Of Tragedy-nostalgici, con i già citati growl che richiamano lo schema di vocals alla ‘bella e la bestia’, qualche schitarrata qua e là e sparuti pestoni alla batteria, dall'altro il tutto risulta di una commerciabilità, o per meglio dire, di una fruibilità, estremamente vasta, grazie a canzoni easy-listening come ' Into Your Light', 'Norwegian Lovesong' , la dolcissima ballad 'For Amelie', tracce che in questo periodo di estremo successo per Evanescence, Lacuna Coil et similia, farebbero anche il loro porco effetto sul grande pubblico.
Una valvola di sfogo, un macigno tolto dallo stomaco, ecco cosa pare essere questo Lovelorn: un grido d'aiuto da parte di una voce rimasta incastrata (con questo album sembrerebbe allontanarsi dalle scelte elettroniche dei suoi ex compagni, ma chi può mai dirlo...) in una lampada d'Aladino; prendetelo così, con le sue luci e le sue ombre, senza troppe pretese, come fosse una vecchia musicassetta dove scorre la voce di un amico che non sentite da troppo tempo, solo in questo modo arriverete all'essenza di questo album, in grado sia di donare piacevoli momenti ai palati affini, quanto piacevoli dormite ai neofiti del genere.